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■ Le varie branche del diritto (Vincenzo de Franchis).
Esame interno dell’opera. – Prima
di esaminare sommariamente le branche giuridiche è necessario dire che lo stile
è sobrio e perfetto. Assente la rettorica, rara la persistenza nel termine: Determinatio
determinans plura determinabilia, debet ea pariter determinare (D. 468).
Curiale nell’anima, curiale nell’espressione. Facciamo l’esame interno seguendo
le partizioni del Diritto.
Diritto costituzionale. – Nel
caso nostro intendo quelle leggi che De Franchis chiama constitutiones Regni.
Esse non riguardano la forma dello Stato. Emanate da Re Ruggero II e dai
successori, riguardano Diritto pubblico e privato, ecclesiastico e penale. Sono
costituzionali non nel senso moderno, ma perché fondamentali. Per la maggior parte
riguardano il demanio e il passaggio delle università ad esso (D. 17), le
collette o tasse straordinarie (D. 56), in che consiste il privilegio (D. 192),
l’indulto e la grazia (D. 330), l’ordinamento dei tribunali (D. 510), le
provvisioni e la giurisdizione che emanano dal Re (D. 511 e D. 517), vari
interventi dello Stato. È previsto il giuramento del Viceré ai diritti del
reame (D. 393), e le attribuzioni dei Grandi Ufficiali della Corona (e cioè di
Stato): il Gran Cancelliere (D. 65), il Gran Siniscalco (D. 458) e il Grande
Almirante (D. 142).
Diritto pubblico. – Si
aggira sulle quindici sentenze in tutto, visto che molto sta nel
Costituzionale. Trattano di utilità pubblica (D. 317), acque pubbliche (D.
1983), maggiore età: 18 anni a Napoli (D. 230), pascoli (D. 489), rapporti fra
la legge e le leggi locali (D. 390 e D. 489). C’è altro che sconfina
nell’Amministrativo.
Diritto feudale. – Almeno
52 sentenze. Il feudo può essere ereditato o acquisito (D. 1), e condizionato
(D. 154); quando può essere acquisito (D. 6) e quando ritenuto ereditario (D.
387 e 525). Da ciò le definizioni: universitas facti e quid universale e perciò non di
uno solo, aliquid castrense che presuppone un’organizzazione militare
(D. 4 e D. 10), da cui deriva che i baroni sono come funzionari del Re (D.
211). Passa ai limiti di tempo per il riconoscimento (D. 425) e all’obbligo
della difesa del Re (D. 425). Continua con la successione, quella maschile
(D.7), con la rèfuta e col fedecommesso (D. 519), fatti che hanno interessato
molto Piedimonte[1]. Ed ecco i
vassalli: a chi spettano i frutti (D. 216); non possono chiedere che il giudice
naturale (D. 417). Seguono i funzionari: (D. 274), che non possono essere
creati a beneplacito dei baroni (D. 409) né essere stranieri (D. 479), e i
castellani (D. 458 e D. 505). Tratta della coesistenza di feudo e di università
(D. 78), affronta il settore più discusso dei vassalli: il versamento del
paragio e dell’adiutorio (D. 20, D. 42, D. 119 e D. 215). Passa al lato
economico: reddito (D. 76), frutti (D. 216), coltivazione diretta dei feudi
rustici (D. 128), la decima e la sovvenzione (D. 124, 306), nonché quanto
riguarda la retrocessione (D. 126, D. 154, D. 172, D. 192), la taglia (D. 56),
la giurisdizione nel limite territoriale (D. 129), l’imperio, è a dire giudizi
e condanne dai tribunali baronali (D. 166, D. 434, D. 510, D. 511) e il diritto
di appello dei vassalli (D. 529). Tre sentenze anche per i diritti sulle acque,
pascoli ed erbatico (D. 183, D. 197, D. 301). Sentenze limitanti i diritti
baronali si trovano nelle Decisioni 23, 118, 129, 131. Esse non vengono dettate
da astiosa mentalità rivoluzionaria (anche De Franchis, creato marchese di
Taviano e duca di Torre Orsaria, apparteneva al baronaggio), ma dalla
disciplina dell’arbitrio. E così immette nel Diritto la visione cristiana della
vita, per cui il signore feudale deve considerare i vassalli come figli. Più
che limite, di legge, pone un autolimite di coscienza. (D. 197): Baro pater
dicitur, quia erga suos subtitos gerere se debet sicut pater erga filiosi.
Diritto privato. – Nelle
sentenze prevale assai sugli altri campi del Diritto. Si tratta di almeno metà
delle Decisioni. Tutto vi si passa in rassegna: proprietà, successione, dote,
legati, minorenni e loro procuratori, buona fede, alimenti ai genitori, crediti
e debiti, strumenti e garanzie, cauzioni e pegni.
Le più minute e complicate possibilità che gli
istituti della famiglia e della proprietà, hanno portato, e tutte le meschinità
dell’agire egoistico e avaro dell’uomo, tutto viene analizzato dal colto e
comprensivo magistrato, e, viene ridotto a sentenze.
Diritto del lavoro. – Appena
qualche sentenza, segno che le cause s’erano fermate ai tribunali minori, e gli
appelli nn avevano raggiunto il S. R. Consiglio.
Nella Decisione 152 si tratta del salario al
vassallo che lavora per il feudatario coi propri animali, e cioè un grano sia
per cavallo pro quodam militare, sia per animali piccoli, asini e muli.
Passando dal lavoro rurale a quello artigianale in D. 175 troviamo il caso del
solito furbo che esercita l’arte gladiatoria (insegnava a maneggiare armi), e
quando si assentava, faceva il tessitore di seta. Arrestato per un delitto,
ricorse ai consoli dell’arte della seta per essere rilasciato. Ma il S. R.
Consiglio non volle: maestro di scherma e non di tessitura.
In D. 337 viene affrontata la diversità di
trattamento fra abitante di città e di campagna. Il campagnolo non ha diritto
al congruo. E anche De Franchis ne ammette l’odiosità: continet enim
inaequalitasem. Nella causa giudicata il 13 Aprile 1586: rusticus è
definito che abita in campagna e nei casali, e non ha a che fare col textor
telae. La D. 481 riguarda pure l’arte della lana a Napoli.
Diritto agrario. – Numerose
sono le sentenze che riguardano l’enfiteusi (D. 30, D. 267 e molte altre), e
quelle sul laudémio buonuscita (D. 201, D. 436, D. 447 e altre). Molti sono gli
interventi di legge per i miglioramenti agrari (D. 38, D. 109, D. 112, D. 456).
Non manca quanto riguarda il raccolto (D. 117) e perfino l’intervento forestale
(D. 390) e i pascoli (D. 489).
Si fa notare ancor più l’intervento per i patti
agrari: locazioni (D. 406), sospensione del contratto (D. 451), rispetto dei
patti (D. 489), una forma di prelazione, e quanto riguarda il colonato (D. 302,
D. 334) per i frutti.
Insomma, mettendo da parte il patrimonio feudale e
quello ecclesiastico, praticamente immobili per legge dello Stato e della
Chiesa, quanto alla proprietà allodiale e burgenzatica, oggi detta privata, si
nota un movimento che viene notato proprio dall’intervento della legge. Un
intervento che denota lotta e vitalità, e che in gran parte sarà stato deciso
dai tribunali locali di prima e seconda istanza, e solo in minima parte avrà
raggiunto la corte suprema, il S. R. Consiglio, e durante sei anni deciso da De
Franchis.
Procedura. – Almeno 120
sentenze interessano la procedura civile e penale. E analizzano le prove, gli
appelli, i reclami e le clausole, i processi per direttissima e la resistenza
in giudizio, la sentenza plurima e la composizione, e la nullità; e riserve ed
eccezioni, pregiudiziali ed incidenti. Seguono ingiunzioni, assensi, rifiuti,
lettere esecutoriali, citazioni, valore del dubbio, della presunzione giuridica,
dell’indizio, dell’accusa e revoca.
Lo studioso di legge può scoprirla nel riassunto in
appendice. Le sentenze sono composte, e per tanti elementi rientrano anche nel
Penale e nell’Amministrativo. In parecchie di esse De Franchis sembra di oggi.
Diritto amministrativo. – De
Franchis distingue un Diritto comune jus commune da cui si distacca la lex
municipalis (f. 242, D. 489): quando un certo caso non è contemplato dalla
consuetudini, subentra il Diritto comune. Partendo da questo principio, riconosce
alle università il diritto di eleggere i propri amministratori (D. 43),
sentenzia sull’amministrazione di Napoli, capitale (D. 207), torna sulla norma
generale (D. 210), passa alla presenza del capitàneo (giudice criminale e
governatore) alle riunioni comunali (D. 388, D. 446). Insiste sulla durata
annuale delle cariche (D. 489).
Diritto penale. – Appare
molto trattato nelle quasi 60 sentenze che lo riguardano. Si parte dal
meretricio (D. 68), si passa attraverso la classifica delle pene (D. 88, D.
324, D. 358, D. 378, D. 507, D. 521) e di condanne (D. 139). Condanna l’azione
con denaro di altri (D. 96), la corruzione (D. 98), le truffe nelle vendite (D.
225), il parricidio (D. 230), l’adulterio (D. 184), l’omicidio (D. 176), il
sacrilegio (D. 240, D. 402, D. 504), e le colpe degli ecclesiastici nei loro
rapporti con la giustizia ordinaria (D. 189), la lesione (D. 247, D. 248). La
legge è dura per l’esilio e l’interdizione (D. 116), la tortura (D. 143, D.
459), i pirati e i ladri di strada (D. 142, D. 342, D. 426), i fuorilegge (D.
102, D. 213), e il potere dell’imperio (D. 116, D. 166). Dalla libertà
provvisoria (D. 248) trascorre alle punizioni ai funzionari (D. 274) e ai
giudici (D. 407) ma anche alle offese ad essi (D. 329), alle espulsioni da Napoli
(D. 316) e alle cumulazioni delle pene (D. 317). Non è dimenticato il Diritto
penale militare con la sentenza sulla giurisdizione del Grande Almirante (D.
142).
Le sentenze continuano con la pena di morte (D.
324) a chi conia monete false (D. 401, D. 440). Sentenzia contro il delinquente
contumace (D. 327, D. 417), sullo stupro (D. 333, D. 378), e sull’incesto (D.
378), sul giuramento falso (D. 366), la diffamazione (D. 385), e la necessità
di prove chiare (D. 372), e della punizione al falso notaio (D. 444). Sentenzia
sulle pene “liquide” (D. 435) le forme di detenzione: (la galera ad triremes)
(D. 442), la relegazione (D. 487), fino alla rappresaglia dell’abbattimento
delle case (D. 516) e sentenzia pure sul carcere ingiusto (D. 415), sull’offesa
del genitore al figlio (D. 418), e prolunga l’esame sul bando d’indulgenza (D.
468), sui cortei (D. 478), sull’indulgenza per il delinquente che uccide un
altro delinquente (D. 499). Come si vede, manca poco a un trattato completo.
Solo qualche riflessione. È magistrato, e non
discute sulla legge. Ma la sua indole mite affiora nelle attenuanti che
propone: non estremi per far uscire la verità (D. 459), e quando nella
Decisione 507 affaccia la norma “chi non espia nella proprietà espii nel corpo”
vi pone un’interpretazione restrittiva. Attenuante non è condiscendenza ma
valutazione di occasioni determinanti. Di fronte all’immaturo violento guarda
alla realtà: rigorose puniendum si valde frequens (D. 52, comma 22).
Diritto ecclesiastico. – Le
Decisioni sono 40. Il rispetto di De Franchis per la legge ecclesiastica è tale
che mette le decime a livello delle collette, le tasse governative in tempo di
necessità. Sentenzia su esse in D. 107 e ancora in D. 114, D. 124, D. 235.
Sui beni ecclesiastici sentenzia in D. 30 e D. 125.
Circa i voti monastici le sentenze sono numerose,
dato che numerosi erano i casi nei quali dal voto si poteva passare a questioni
economiche (D. 384, D. 385 e altre).
I voti dice De Franchis hanno valore
indistruttibile (D. 384). Tanto avviene per chi entra negli ordini religiosi.
L’impegno alla povertà comporta una restrizione per legge al diritto di
proprietà (D. 14, D. 40, D. 423).
Il sacrilegio era delitto contemplato dalla legge
statale, e per questo viene punito in varie Decisioni sia nell’essenza che
nella determinazione del luogo.
Dal la completa separazione del foro ecclesiastico
da quello civile, numerosi erano i casi misti. Le Decisioni 189, 248, 276, 395,
426, 449, 463 lasciano affiorare la meschinità dell’individuo al quale la
formale preparazione non ha tolto la mentalità del delitto.
Nella D. 248, dal tribunale statale viene imposto
l’obbligo della restituzione, e nella 376 appare l’ecclesiastico convenuto in
giudizio presso il tribunale laico. Ma le esenzioni (volute dalla legge) restano
forti: resta il diritto al foro ecclesiastico in funzione del carattere
indelebile della consacrazione, anche dopo un delitto, anche se si ammoglia (D.
419 e D. 439): dev’essere giudicato dal vescovo; viene sancito il diritto del
privilegio del foro da parte del chierico 8D. 426, D. 449, D. 463), e nella D.
234 è sancito il diritto di scelta del foro. Nella D. 411 decide sull’esenzione
anche dalla consuetudine di Napoli.
Qualche limite ci sta: quando laico ed
ecclesiastico delinquono insieme, il giudice è unico (D. 426), lo stesso riguardo
alle esenzioni (D. 209), nei processi contro laici (D. 285), nei processi da
ripetere innanzi al giudice laico (D. 349). Ma è quel che impone la legge
vigente. Il religioso magistrato non va oltre. E non è tanto l’ossequio alla
legge dell’epoca a caratterizzare De Franchis di fronte alla Chiesa. È la fede
religiosa sentita che in lui si ammanta di tenerezza familiare quando assicura
che donare a un monastero è come donare a un figlio (D. 469). Ma è fede illuminata:
nella D. 499 sentenzia, contro ogni pretesa unicamente giuridica,che è la
persona consacrata a santificare il luogo e non viceversa.
Lo stesso autolimite morale enunziato ai baroni
egli lo reclama per l’altro gruppo dirigente: clericus tenetur uti legibus,
statutis et consuetudinibus laicorum contra se, si vult uti pro se (D.
285). Rispettasse anche quando va contro, se vuol usarne quando va a favore.
Così parla Socrate nel Fedone, e così parla il Vangelo.
Diritto finanziario e commerciale. – Solo
4 sentenze riguardano il Fisco (D. 132 per la remissione collusione, D. 398
sull’obbligo di sentire il Fisco, D. 467 il fatto che non si appella contro, e
D. 470 per le facoltà che tiene), ma indicano un rapporto si può dir ferreo fra
Stato e contribuente.
Quanto al Diritto finanziario e commerciale le
sentenze sono più di 20.
Nella D. 9, De Franchis afferma il diritto del
governo ad abbassare il prezzo del grano in momenti di penuria, e tanto vale
anche per il prodotto dei benefici ecclesiastici. Le Decisioni 69 e 524 sono
dedicate alla compravendita, ma in funzione del jus creditoris, ed in
seguito a una causa. È comunque lo specchio della realtà. Guadagno giornaliero
è considerato quanto a Napoli ricavano gli affittacamere (D. 79), e anche se è
per periodi di tempo, non vengono posti tra i frutti annuali. L’apocha o
fede di credito, sta trattata (D. 95, D. 301, D. 503). Siamo ai primi passi
della complessa attività bancaria. Occorrono tre firme per la validità. Entra
nella disciplina dei crediti e debiti (D. 12), e nella D. 311 sentenzia sulla
clausola a pagamento unico, e nella 227 sull’usura.
Sempre dal punto di vista giudiziario, l’alto
magistrato esamina il jus offerendi e il giusto prezzo (D. 224), la
truffa nella vendita (D. 225), ed interviene pure riguardo a vendite, contratti
e restituzioni (D. 39, D. 97, D. 172).
Entra in pieno (D. 249) in un argomento moderno: lo
scioglimento di una società, e sul nome vero della ditta in caso di vendita (D.
427), e tratta pure di annullamento del contratto (D. 496). Argomenti e
sentenze si seguono: sui cambiavalute (D. 498), possesso e prezzo (D. 506), e
necessità di un deposito da parte del debitore (D. 508).
Passando dal credito privato a quello pubblico si può
concludere con la disciplina delle collette (D. 22), e delle taglie e decime
(D. 103).
Diritto internazionale. – De
Franchis conosce anche le leggi di altri stati. Gli accenni alla legislazione
straniera sono pochi ma sufficienti.
Accenna alla legislazione di quasi tutti gli stati
italiani (D. 182), parla della Rota bononiensis nello stato pontificio,
delle consuetudines Burgundiae il ducato di Borgogna allora sotto la
sovranità di Re Filippo II e perciò unito personalmente alla Spagna. Allude al
Diritto francese e inglese (D. 4 e D. 286); ancor più caro è l’accenno al Senatus
Sabaudiae (D. 434) e al Senatus pedemontanus (D. 435), i consigli di
stato del ducato di Savoia e del principato di Piemonte, in quegli anni passati
da Emanuele Filiberto a Carlo Emanuele I.
Alle conoscenze delle leggi estere possiamo
avvicinare sentenze che decidono questioni internazionali. Tratta così l’emenda
o riparazione se un ambasciatore è preso dal nemico (D. 146), le prede di
guerra (D. 268), l’esclusione dei non sudditi dal delitto di lesa maestà (D.
440), e i rapporti giuridici col sovrano Ordine di Malta (D. 449).
Diritto consuetudinario locale. – Viene
trattato poche volte: per il castello di Belmonte (D. 22), per il valore che
hanno le regioni (D. 56), per Salerno e Sorrento (D. 96 e D. 295), per il
mulino di Montesano (D. 338), per la bagliva a Capua (D. 397), e per i sindaco
di Taranto (D. 438). Superiore alle consuetudini locali, De Franchis riconosce
un Diritto regionale: Consuetudo regionis attenditur quando de propria non
apparet (D. 56).
Consuetudini e privilegi di Napoli. – Nel
Diritto consuetudinario s’impone quanto riguarda Napoli capitale, che usufruisce
di una notevole differenziazione nella legge civile rispetto a quella
dell’intero regno. Assommando queste norme, dal libro appare (relativamente a
Diritto privato e amministrativo), quasi uno stato nello stato. Sembra che quel
che conta sia la città coi suoi cittadini viventi in essa, non i Napolitani in
quanto tali. Basta che si trasferiscono, nascono le limitazioni (D. 452).
Sono più di 20 Decisioni. Ricordiamo la D. 143:
niente tortura a Napoli, D. 57 e D. 307 sulla successione e il trapasso di
proprietà, D. 170 sui figli di primo letto, D. 266 il subingresso dei rami
laterali, D. 367 la sàllia, D. 486 testamenti, D. 489 gli alimenti alla vedova,
D. 503 i doni nuziali. Passando alla procedura, in D. 416 altro privilegio del
cittadino di Napoli: i forestieri vanno convenuti in giudizio a Napoli.
Privilegi tipici si notano nell’amministrazione
della città capitale: la D. 207 tratta dei seggi di Napoli, la D. 383 dei
diritti dell’ospedale dell’Annunziata, la D. 446 sulle riunioni pubbliche.
Qualche limitazione: gli ecclesiastici non sono in
tutto compresi nelle consuetudini di Napoli (D. 411), e altrettanto dei
possessi fuori Napoli accennati sopra (D. 452), niente funzionari forestieri
(D. 479). Anche Terra di Lavoro risente dei benefici della capitale: Napoli ne
è capoluogo.
Nessuna volta la consuetudine di Napoli viene
corretta dalla legge comune. Quando ha avuto origine? È evidente che la più
parte delle norme preesiste all’unificazione monarchica, operata dai Normanni.
Ed è altrettanto conseguente che, divenuta capitale con Re Carlo I, abbia
conservato tutto questo patrimonio giuridico proprio.
Urbanistica. – Appena due
decisioni riguardano una iniziale urbanistica. Nella D. 110 si tratta quando si
può abbattere una costruzione, e far che la capitale non dev’essere deformata
da edifici, e nel riattare vie (D. 443).
Un quadretto di ambiente. – Colpisce
l’importanza del cerimoniale. Nientemeno una sentenza del S. R. Consiglio per
le precedenze a processioni (D. 44, D. 62, D. 253, D. 365). Giusto vanto è il
diritto di porre le proprie insegne sui lavori pubblici compiuti (D. 443). La
D. 85, una sentenza per chi possa dirsi primogenito, non è solo cerimoniale,
data l’importanza del maggiorasco. Tipica è la sentenza D. 435, relativa ai
matrimoni dei nobili. È questione di carriera non di decorativismo la norma D.
445, e sembra l’unica, come entra nella disciplina la D. 455 sul controllo
degli alti funzionari.
Di gran distinzione è ammantata l’alta cultura. Si
avverte il distacco fra le varie fasi degli studi (D. 111). Ma l’alone di cui
viene circondata la cultura a livello universitario si nota nella D. 115, secondo
cui dopo vent’anni d’insegnamento, il professore ottiene il rango di conte,
mentre a distanza telescopica appaiono i dottori dell’almo collegio di Napoli
(D. 234).
Le fonti del Diritto. – Dopo
questo sommario esame ci chiediamo: dove attinge De Franchis le giustificazioni
per le sue sentenze?
Premetto gli autori che cita spesso: Menochio,
Rochegallus, Napodamo Nauclerius, Paris, Sticho, Pamfilio, Andrea da Isernia,
Baldus Novellus, Tiraquello, Didacus… Hanno più o meno influito, ma gli
ispiratori, lasciatemi dire, anonimi e collettivi sono stati tre: il Diritto
consuetudinario, quello longobardo e quello romano.
Diritto consuetudinario. – La
consuetudine è intesa da De Franchis come l’abitudine che diventa necessaria: quando
aliquid consuetum est fieri, necessarium esse dicatur (D. 487), ed altrove
riferisce la definizione di Napodamo: consueto est altera natura scilicet
singularis hominis (D. 384). Più diffusa, s’è visto, nel Diritto privato,
specie quello di Napoli.
De Franchis si diffonde su essa. Quelle norme fra
esse, fondate sulla clausura aequitatis non devono esser viste con
interpretazione odiosa ma piuttosto aequitative e, come le leggi
scritte, anch’esse sono di stretto diritto. Da tutto ciò l’illuminato rispetto
e l’intelligente utilizzazione che ne fa il presidente De Franchis.
Diritto longobardo. – Le
Decisioni che vi si ispirano sono poche.
Si va dalla mephia, dono della verginità (D.
101) e dalla D. 478 sembra proprio che la correzione al senatoconsulto
velleiano non abbia origine dal Diritto romano. Questo riguardo al Diritto
privato.
Per quello pubblico, il Diritto germanico della
proprietà ed uso di terre indivise, appare nella D. 24 che si riferisce al jus
protomisquum e nelle DD. 83 e 392 sul congruo e sul protomisco, e in quelle
sul valore del giuramento ed altro. Altro si trova nel Diritto feudale. Napoli
capitale ne appare quasi immune. Come si sa di uno sviluppo politico di essa
nel ducato greco indipendente fino all’unificazione monarchica normanna, così
si intravede che questa ha cucito elementi giuridici diversi, e l’elemento
greco della capitale si distingue da quello del territorio interno longobardo.
Diritto romano. – Il
ricorso è continuo. Sono citate spesse la norma trebellianica e il
senatoconsulto velleiano (corretto in D. 478). Sempre nel Diritto privato, ogni
tanto vengono ricordati Papiniano e la falcidia, intesa ocme leggittima e
quarta parte[2].
Si può concludere che De Franchis, sempre
rispettoso del Diritto conuetudinario, quando deve completar questo, s’ispira
senz’altro al Diritto privato romano per le sue norme precise.
Diritto naturale e Filosofia del Diritto. – Già
è stato detto che il magistrato De Franchis è un prammatico non un teorico. È
logico che nelle sentenze manchi ogni riferimento al Diritto naturale. Fa
eccezione la D. 489 (che interessa anche la filosofia): Ratio eadem ubi est,
etiam jus statuendum venit. Viene applicata nella D. 500: Legis natura
est futuris dare formam negotiis. Nella D. 506 il Presidente mostra la coercizione
della norma naturale alle obbligazioni operate dall’uomo. Altrove (D. 432)
parla del dono inestimabile della libertà in quanto è espressione della persona
libera, non lo è di chi si obbliga.
Le Decisioni sono sentenze non un trattato.
Personalità di De Franchis. – Le
Decisioni sono il ritratto del presidente De Franchis. Le sentenze fatte per
gli altri lasciano apparire la mente di chi le scriveva.
La sua personalità professionale è lodata dai
giuristi[3]
gli attribuirono miglior ordine nella forma dei giudizi, estirpazione di molti
abusi introdotti, soppressione della calunnia.
Le sentenze sono un richiamo della realtà; ma non
bisogna fermarsi a constatar ciò, bisogna rimediare: occasio delinquendi non
est danda. Nella severa procedura penale rimane mite: Jura adaptantur ad
frequentius accidentia, sub quibus regulantus de raro accidentia (D. 324).
Il senso di comprensione e di mitezza non lo abbandona: nel caso di cumulo di
pene, il giudice scelga la più mite (D. 271). Dunque l’equità è l’aureola della
sua profonda competenza, ma nella religiosità credo di vedere la direttiva
dell’equità, com’è espressa nella D. 223: summa est ratio quae pro religione
facit.
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[1] Marrocco Dante, Piedimonte Matese, II edizione, p. 81, “Cause in famiglia” a proposito di persone della casa Gaetani d’Aragona che pretendevano la successione su metà di Piedimonte. Il 20 Ottobre 1569 (per errore, scritto 1563) il S. R. Consiglio dette ragione a Luigi (Gaetani d’Aragona) ed escluse tutti gli altri. Chi decise la causa fu il giudice (2° Consigliere) Vincenzo de Franchis nostro concittadino. Il paese natale gli è grato anche perché la sua sentenza ne impedì la divisione.
[2]
Per “velleiano” s’intende il famoso senatoconsulto del 46 d. C. col quale fu
vietato alle donne di intercedere, cioè di assumere obbligazioni in
favore di altri. Tramite il 16° titolo del Digesto e il 4° del codice di
Giustiniano, la norma era passata nel Diritto privato. Il senatoconsulto
trebellianico, è dovuto pare nel 56 d. C. al console M. Trebellio Massimo; con
esso furono estese al fidecommissario le azioni spettanti all’erede. La
falcidia, dovuta al tribuno P. Falcidio nel
[3] Le Decisiones e il loro Autore suscitarono ammirazione, e furono largamente citati. Ricordiamo:
Aldimari B., Memorie
istoriche di diverse famiglie nobili (Napoli 1691) libro III, p. 264;
Ammirato Scipione, Delle famiglie nobili napolitane (Firenze 1651)
Genealogia; Candida Gonzaga Berardo, Memorie delle famiglie nobili
(Napoli 1875-82); Archivio de Estado de Simancas. Secretarias provinciales.
Napoles; Archivio di Stato di Napoli; Archivio di S. Maria Maggiore di
Piedimonte Matese; Raccolta manoscritti dell’a.s.m.v. di Piedimonte Matese;
Costo T., Memoriale (sta in Compendio della storia del Regno di Napoli,
Venezia 1613); Capaccio G. Cesare, Illustrium mulierum et illustrium
litteris virorum elogia, libro II, p. 348; Neapolitanae historiae,
libro II, cap. 17, p. 875, (Neapoli 1687): In franca (familia) fidus illud
emicat lucidissimus quo jurisprudentiae gloria enituit Vincentius
juriconsultorum sui temporis maximus; Ciarlante Gian Vincenzo, Memorie
historiche dell’antico Sannio (Isernia 1644) libro V, p. 506; Crasso
Lorenzo, Elogi d’huomini letterati, tomo I, p. 146; (de) Aurias de Mesa
Ferrante: DF il primo prammatico della sua età; doctissimus et omni aevo
venerandus, in libro I variar resolut. Cap. 9 n. 1; e libro cap. 49
n. 2; Della Marra Ferrante, Discorsi sulle famiglie estinte (Napoli
1641): Quando Fabio Marchese, nel giudicar gli huomini grandi dall’opera loro,
vide le Decisiones, disse che “a niun altro sarebbe più bastato l’animo di
scrivere e di stampare” (p. 169); De Lellis Carlo, Discorsi delle famiglie
nobili (Napoli 1654); Giannone Pietro, Storia civile del Regno di Napoli
(rare) libro 34, cap. 8, p. 235, parla di pretensione dei papi; Giustiniani
Lorenzo, Memorie storiche degli scrittori legali, tomo II p. 43 ampia
biografia: illibatezza di costumi, tratto umano e dolce; Granata Francesco, Storia
civile della fedelissima Città di Capua (Napoli 1756) libro III, p. 3-40;
Marrocco Carlo, Miscellanea di notizie biografiche e storiche mss.;
Mazzarella Andrea in AA.VV., Biografia di uomini illustri del Regno di
Napoli (Napoli 1808) tomo 5 (velata da polemica); Rota Bernardino,
Epigramma fol. 60 (riportato da Mazzarella): Si quis te vincit, vera est
victoria, victor. / Vincenti, hoc primum est, hoc mihi crede tuum. / Nam vis
ulla vix potuit te flectere recta, / non amor, ira metus, commoda, dona preces.
/ Oh legum decus in victum, oh te felice jura / aurea: et oh tanto saeclo beata
viro!
Raudense Alessandro (di Milano), In Decis Pisan 5 n. 64 p. 109; Rovito Scipione Reggente, in Pragm. 14 n. 3 de Baronibus pragm. 11 n. 74 de Feud. Pragm. 4 n. 33 de Instrum. Liquidat. Pragm. 2 n. 39 de jurisd. Judic. Non turb. Pragm 1 n. 7 de legat. piis ; Ricca Erasmo, Nobiltà delle Due Sicilie; Salerno Camillo, Praefatio ad consuetudines neapolitanas; Tafuri Giov. Battista, Storia degli scrittori napolitani tomo 3° I c 51: Jacobuccio; Tapia Carlo marchese di Belmonte, in tit. de integr. restit. In rubr. super Constit. Regni altri cenni su I. Menochio, C. Pellegrino, P. Randella, ecc.